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Un umile inchino, un colpetto di tosse per schiarirmi la voce e via, cominciamo. Ecco quello che ho da dirvi.

giovedì 18 aprile 2019

Un posto al sole

Sulla porta della mia vecchia cameretta, a casa dei miei, da più di vent’anni c’è appeso questo foglio:


Non ho mai letto Stephen King in originale, ma mi riesce difficile credere che tre figure intermedie  il suo editor; il traduttore italiano; infine l’editor che interviene sulla traduzione italiana (figura di cui ho scoperto l’esistenza un anno fa, come vi racconterò in uno dei prossimi post) migliorino il lavoro dell'autore al punto da renderlo un pilastro della letteratura americana contemporanea.

Mi chiedo: quello che rimane di questa dichiarazione è solo antipatica falsa modestia? Come quelli che danno gli esami dicendo che non sanno niente e poi prendono trenta e lode?

Per la cronaca: io ci sono cresciuto, con Stephen King. Mi ha influenzato molto nella scrittura in tutti questi anni, per questo ho smesso di leggerlo da un po' di tempo.

A parte l'autore in sé, quando ero ragazzino questa frase mi colpì molto, e cominciai a ragionare sull'idea che scrivere potesse diventare occasione di guadagno. Sarà per questo che non ho mai capito fino in fondo l'affermazione "scrivere per se stessi". Okay, ci sta che scrivere sia un atto profondamente intimo, in una certa misura, e come tale vada compiuto con degna sacralità, rispettando prima di tutto se stessi e prendendosi il tempo necessario a liberare quello che si ha dentro. Ma poi? Quand'è che si va oltre?

Scrivere non è qualcosa che si esaurisce in un comportamento autistico, nel senso letterale di chiusura in se stessi, quindi a un certo punto nell'animo di chi scrive scatta l'idea di condivisione, e per condividere pienamente bisogna anche essere chiari, sinceri. A quel punto o abbiamo un riscontro positivo, o non l'abbiamo. E se non l'abbiamo, difficilmente ci verrà voglia di ripartire dal Via!, piuttosto ci arrenderemo all'evidenza di non essere dei bravi narratori e cercheremo altre valvole di sfogo.

Ma se la condivisione funziona, e il riscontro è okay, non c'è nient'altro da fare che andare avanti. Il desiderio di condividere si allarga a un gruppo più ampio, che parte sempre, è inevitabile, dalla propria famiglia. Come il proverbiale sassolino gettato in uno stagno. Quanto più il sasso è pesante, tanto più alto sarà il numero di onde che vedrete inseguirsi sulla superficie. Mi piace pensare che il peso del sasso sia dato dal coraggio che ci mettiamo, l'impegno nel fare di un germoglio un albero fiorito da giardino, oppure una quercia in mezzo a una foresta.

Poi, man mano che l'orizzonte si allarga, c'è chi trasforma quella condivisione in un commercio, i suoi scritti in prodotti da vendere e collocare sullo scaffale giusto, che si tratti di un centro commerciale o di una boutique d'alta moda.

E se le librerie polverose e affascinanti nei vicoli di città diventano bancarelle del centro commerciale di periferia, in fondo, non è colpa di chi scrive. L'importante è continuare a fare ciò che si ama, che sia leggere, scrivere, o semplicemente comprare libri, rimanendo fedeli a se stessi e accettando, senza patemi, che le mode cambino. 

E voi che cosa ne pensate?
Alla prossima.

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