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Un umile inchino, un colpetto di tosse per schiarirmi la voce e via, cominciamo. Ecco quello che ho da dirvi.

venerdì 12 aprile 2019

L'importanza di raccontare

"E quindi?", direte voi. "Di che cosa parla questo blog?"

Di passioni, principalmente. Non per il gelato o il bondage, certo, ma delle passioni che si potevano avere a vent'anni nel Duemila. Ma anche a quindici nel Novantacinque, se è per questo; o, più indietro ancora, a sette nell'Ottantasette, perché no. Raccontarvi di un'età tonda tonda in un anno perfetto a livelli cosmici è un pretesto per farvi leggere quello che scrivo. E se poi non vi piace, si può sempre parlare d'altro.

Il fatto è che mi piace l'idea di spiegare da dove nasce questa passione e che cosa c'è dietro ai racconti che scrivo. Non ne ho scritti molti finora, ma qualcuno qualche piccolo risultato l'ha raggiunto, o lo sta raggiungendo. Quindi concedetemi un po' di sano egocentrismo - siamo pure sempre a casa mia, porca miseria: avrò il diritto di girarmene in mutande da una stanza all'altra, se ne ho voglia!

A sette anni o giù di lì, dicevo, vidi per la prima volta Commando, con Schwarzenegger, dio mio che film. L'indomani a scuola dovevamo scrivere una "composizione" (perché "tema" non era termine che alle suore andasse a genio, evidentemente) con argomento a piacere. Erano gli anni in cui Canale 5 e Italia 1 erano il nostro Netflix, Rete 4 lo guardavano solo i nonni, i telefilm con i protagonisti sorridenti durante i titoli di testa erano le nostre serie tv, e di stagioni si parlava solo se volevi fare un commento banale sul tempo. E insomma, ero rimasto talmente impressionato da quel film che decisi di scriverne la trama in questa famosa "composizione", sentendomi in dovere di spiegare alla maestra come fosse stato possibile che Arnie fosse riuscito a saltare da quel cacchio di aereo appena decollato, atterrando senza un graffio in mezzo a una palude. Ovviamente non andai oltre quella scena, e mi ricordo che corredai pure il tutto con un disegnino stilizzato di 'sto tizio che salta dal carrello dell'aereo mulinando braccia e gambe.

Qualche giorno dopo, con simile dovizia di particolari, avrei messo in guardia la maestra su tre regole fondamentali da rispettare scrupolosamente, metti caso si fosse ritrovata tra le mani un frugoletto peloso bianco e marrone, con gli occhioni dolci e le orecchie grandi:
- Non doveva bagnarlo
- Non doveva esporlo alla luce del sole
(ma soprattutto)
- Non doveva dargli da mangiare dopo la mezzanotte, guai a lei!

Ecco quale fu il mio approccio alla scrittura, o meglio alla narrazione: una specie di sceneggiatura al contrario. Però funzionò, cavolo se funzionò. Mi rapì completamente l'idea di mettere per iscritto quello che avevo visto, perché in fondo non ero preso da altro che condividere un'emozione. Avevo, cioè, qualcosa da raccontare, e non mi importava che non fosse farina del mio sacco.

Quello avvenne non molto tempo dopo. Un pomeriggio, una vicina di casa che doveva farmi da babysitter mi propose di pensare a una storia nuova, qualcosa che nascesse dalla mia fantasia. Non me lo feci dire due volte. Avevo in testa avventure di ragazzini in sella alle loro BMX, tra film e libri che avevo appena iniziato a leggere, e naturalmente furono quelli a diventare i protagonisti della mia prima storia: una notte buia e tempestosa in una casa stregata abitata da una specie di vampiro con le fattezze di Super Sloth (questa non voglio stare a spiegarvela, cercatevela).

Penso di non essere mai arrivato in fondo a quella storia, ma fui rapito dall'esperienza.

Poi arrivò il numero 1 di Dylan Dog, che lessi di nascosto dai miei, a casa di un amico, e fu amore a prima vista con quel certo tipo di atmosfere. E un paio di giorni dopo, sempre a scuola, mi sentii in dovere di condividere le immagini di gente sbudellata nei modi più impensati, semplicemente riproducendo i disegni che avevo in testa. Andavo per emulazione, insomma, e ci mancò poco che quella bravata, tra l'altro in un istituto religioso, non mi facesse finire tra le mani di un'assistente sociale.

Sarebbe successo comunque trent'anni dopo, sposandone una.
Ma questa, come si dice, è un'altra storia...

Alla prossima!

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