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Un umile inchino, un colpetto di tosse per schiarirmi la voce e via, cominciamo. Ecco quello che ho da dirvi.

giovedì 11 aprile 2019

Scaldiamo un po' i motori!

Sono un lettore diligente, ultimamente anche parecchio affamato, ma non ho mai avuto pretese di scrivere recensioni. Se però si tratta di parlare di un libro che ti ruba la vita sociale, prende casa nel tuo salotto e ti svuota il frigo, reclamando le tue attenzioni come un cugino particolarmente affettuoso arrivato da oltreoceano e di cui ignoravi perfino l’esistenza, se, dicevo, si tratta di tutto questo, condividere quello che ti ha lasciato dentro diventa una missione. Così si finisce per l’essere di parte, il che annulla la nostra capacità di giudizio, ma, appunto, in fondo chi se ne importa. Pensate a quando siete ospiti a un pranzo o a una cena a casa di qualcuno: se qualcosa non vi piace piuttosto tacete e vi concentrate sullo svuotare il piatto il prima possibile.

Ma se vi piace… lo fate capire eccome, no?

American Gods di Neil Gaiman è un piatto prelibato come non ne assaggiavo da tempo, anche se è più facile pensare a una droga, per l’assuefazione che mi ha creato. Alla base della storia, meravigliosamente narrata, c’è un interrogativo che trovo personalmente fulminante – e a ben guardare, di una certa attualità: quando un popolo migra verso un altrove, che ne è degli dèi della sua terra d’origine? E se questi dèi lo seguono, finiscono poi per essere dimenticati, fagocitati dalla globalizzazione, sostituiti dai moderni dèi del finto benessere, della tecnologia, delle macchine, del vincere facile, della televisione, di internet e dei blog come questo? American Gods è lo scontro tra questi nuovi dèi, che girano in limousine e ci parlano dalla tv, e gli dèi del Pantheon classico dimenticati da tutti, che si nascondono tra i sobborghi delle città, hanno la barba lunga e vestono impermeabili lisi e fuori moda, vanno a donne e bevono per dimenticare a loro volta… E il bello è che questi dèi provengono da svariate mitologie, a testimonianza dell’immane e - comunque lo si guardi - affascinante  melting pot che è la società americana. Ne è uscita da un paio d’anni una serie tv, per chi fosse interessato, tutto sommato ben fatta, ma decisamente non all’altezza.

Vi lascio con la copertina del romanzo, in fondo a questo post. Occhio, perché, pur essendo narrativa di genere – sembra che questo rappresenti per molti un punto a sfavore, vai a capire perché – è un libro tutt’altro che facile, in alcuni passaggi esageratamente e spietatamente crudo. Come lo stesso Gaiman dice nei ringraziamenti finali, c’è l’età per cui un libro ti cambia la vita, e poi, aggiungo io, c’è tutto il resto.

E in testa a tutto il resto, anche a quarant’anni, si può trovare ancora qualcosa di fantastico.



Copertina dell’edizione Oscar Mondadori, 2016 – Tutti i diritti riservati

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