Su di me

La mia foto
Montemarciano, Ancona, Italy
Un umile inchino, un colpetto di tosse per schiarirmi la voce e via, cominciamo. Ecco quello che ho da dirvi.

domenica 16 giugno 2019

La panchina dei ricordi

Le persone con cui ho deciso di condividere La panchina dei ricordi si contano, come si dice, sulle dita di una mano. È più personale, capite, di ogni altra storia condivisa con voi finora; un racconto che a volte ho quasi paura a rileggere, come quando si tiene una fotografia particolarmente preziosa con la punta delle dita, per paura di sgualcirla o lasciarci sopra una macchia di unto. Poi però ho provato a immaginare la storia raccontata in un contesto che il più fedele e assiduo lettore di questo blog troverà familiare... ma non dico altro, per non rovinare il piacere (spero!) della lettura al restante novanta percento dei frequentatori del mio personalissimo e delirante spazio.

Sappiate, però, che il "racconto nel racconto" che troverete tra queste pagine è vero, mi è stato raccontato da uno dei protagonisti e ne ho tenuto in mano le prove. Leggendo, capirete di che si tratta. 

Con questo post si conclude, almeno per qualche tempo, la pubblicazione di racconti nel blog.
Sto lavorando a qualcosa di più grande, come accennavo qualche post fa, e non ho tempo da dedicare ad altre creature su carta perché già è complicato riuscire a trovarne per portare avanti la mia passione. Darei un braccio per poterne vivere al cento per cento, ma per ora rimane la passione con la P maiuscola da portare avanti ad ogni costo, e nient'altro. Magari la storia che sto scrivendo, e che conto di ultimare per l'estate, mi aiuterà a farmi conoscere e a rinsaldare ancor di più le basi del mio sogno di scrivere per vivere, o forse succederà la volta dopo. Chi lo sa. Per adesso vado dritto per la mia strada perché è la sola cosa da fare.

Come sempre vi ringrazio e vi aspetto qui, sulla pagina Facebook del blog o sulla mia personale.

Oppure alla porta di casa, con birra ghiacciata e buoni propositi.

Alla prossima!

lunedì 3 giugno 2019

L'ispirazione, a casa mia (2/2)

Se è vero che molto del fattore "ispirazione" arriva dal contesto in cui uno vive, è altrettanto vero che più si scrive, più si vuole e si riesce a scrivere. L'ispirazione è una sorta di demone buontempone che, per decidere quand'è che vale la pena venirci a trovare, deve prima trovarci al lavoro, intenti a fare ciò per cui ci appelliamo alla sua clemenza. Se non gli diamo da mangiare, ci ignora. Ma se siamo buoni con lui, promette di farci visita anche alla fermata dell'autobus, magari mentre stiamo per salire sull'ultimo mezzo disponibile per tornare a casa dopo una giornata di lavoro (oppure di notte, in sogno, nel modo più poetico che è dato immaginare. Mi è capitato anche questo, per Il Padiglione Numero Diciannove).

Quando ho detto che è possibile "forzare" l'ispirazione, intendevo proprio questo. Io, ad esempio, ci riesco in un modo tutto mio. Tengo un piccolo diario di ogni idea più o meno interessante perché tutto deve pur nascere da un'idea riassunta in non più di una riga di word (o altro editor, per carità; va bene pure l'Ipad). Poi comincio a girarci intorno, a immaginarmi prima di tutto il QUANDO e/o il DOVE - nel caso di Mia principessa o di Jonas, il QUANDO non è rilevante; nel caso de Il Padiglione Numero Diciannove, o de La panchina dei ricordi, che pubblicherò a breve su questo blog, il QUANDO diventa protagonista - ed eccomi a scrivere.

La storia prende forma partendo da un centro i cui contorni si definiscono un po' alla volta. E al primo blocco, rappresentato da un'incoerenza qualunque nella storia, definisco una o più soluzioni; per ciascuna di esse butto lì un'idea delle possibili conseguenze, fino a che non rimane quella che mi soddisfa di più. Il punto debole di un'impostazione così maniacale - me ne sono reso conto spesso - è che passo ore a studiare gli schemi, mettere in campo i migliori giocatori della squadra, ruolo per ruolo, solo che non comincio mai la partita. O la comincio quando ai miei arrivano i primi crampi, a forza di stare fermi, e il risultato mi soddisfa solo a metà. 

La lezione più importante che ho imparato in questi anni è che, a prescindere da tutto, è fondamentale partire da qualcosa di familiare. Qualcosa di proprio, di intimo e profondo. Nell'esempio che ho fatto nella prima parte di questo post, ho pensato a un contesto fantascientifico e ad un dialogo padre-figlia Perché non tra due fratelli? Perché non so niente di cosa voglia dire avere fratelli o sorelle, se non per sentito dire.

In Jonas la forzatura è stata immaginare From Four Till Late di Robert Johnson - da assumere a piccole dosi, o si rischia di impazzire - come la colonna sonora ovattata e lontana di una situazione di violenza improvvisa, come violento è il contrasto con la quiete polverosa delle prime ore del pomeriggio che sembra trasparire dalle note della canzone. Chi conosce la vita del bluesman sa che l'accostamento con un'immagine cruenta non è campato in aria. Questo è stato un po' il motore di Jonas, unito alla sensibilità di genitore di fronte a fatti che questo mondo distorto conosce.

Il Padiglione Numero Diciannove, al contrario, è nato da una convinzione che ho da sempre, che dall'altra parte ci sia qualcosa che non comprende il dolore di una perdita ma vive giorno per giorno nella meraviglia dell'ignoto. Come una rinascita.

C'è poi un ultimo aspetto, il più incredibile, cui ho sempre guardato con diffidenza quando erano autori affermati a parlarne: e cioè assistere al momento in cui la storia prende il via e va per conto suo, come mia figlia di cinque anni e mezzo che sta imparando ad andare in bici senza rotelle.  Succede davvero, fidatevi. Hai la tua creatura davanti, questa manciata di personaggi variegati riuniti tutti nello stesso posto, e mentre ne riporti su carta i discorsi più disparati ti rendi conto di essere come un giornalista di cronaca, che assiste e descrive, senza aggiungere nulla di suo. Se penso a come uscire da certe situazioni, narrativamente parlando, me li ritrovo tutti lì, ciascuno al proprio posto in attesa di un mio comando, come sagome di attori pronti a recitare il ruolo loro assegnato nel momento in cui i fari illumineranno il palcoscenico.

Questa è la magia di scrivere.

Pronti a girare. Azione!