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giovedì 30 maggio 2019

L'ispirazione, a casa mia (1/2)

Come nasce l'ispirazione?

Se c'è una domanda che non mi sono mai fatto, è questa.

L'ispirazione non arriva mai dallo stesso posto, tantomeno ha bisogno di una ricerca ostinata. È un insieme di fattori esterni alla scrittura, generalmente, ma può anche essere alimentata in qualche modo. Perfino forzata, volendo.

Non ho l'esperienza per scrivere un trattato sull'argomento, ma ho le idee molto chiare su come ha sempre funzionato nel mio caso. Come ho detto qualche post fa, le persone sono sempre state per me una fonte di ispirazione potentissima, ma pur sempre una delle tante. Ciò che si dice, che si fa, che si nasconde o che si decide di mostrare all'improvviso; tutto ciò, insomma, che ci rimane impresso e ci emozione lo fa per un motivo preciso, e "giocare" su questo motivo serve a capire se ci sono le potenzialità per raccontarlo trasferendo agli altri la stessa emozione.

Non sono mai partito con il dire "oggi voglio scrivere di fantascienza", per poi incaponirmi a trovare una trama originale con personaggi bizzarri e quant'altro. Così non ci riesco. Però, notando qualche sera fa una smorfia familiare sul viso di mia figlia, mentre giocava a fare il robot, mi è venuta in mente una situazione particolare in un futuro di fantasia; un dialogo tra un padre e una figlia in un mondo nel quale gli uomini e le donne che non possono avere figli possono comunque farsi assegnare figli "sintetici" dell'età che si desidera e con sembianze ricreate in laboratorio sulla base del proprio corredo genetico. Nulla di che, ma è partito tutto da un gioco con mia figlia. Da uno spunto banale, nella sua quotidianità, ne è uscito un contesto fantasioso (per la cronaca, nel mio PC tengo sempre aggiornato un documento dove assegno un ordine di priorità ai miei spunti, per non dimenticarmene, ma questo onestamente è in fondo alla lista).

L'anno scorso, osservando mia figlia alla recita di scuola, mi sono chiesto che cosa sarebbe successo se ad un certo punto uno dei bambini, magari proprio lei, avesse cominciato a far roteare in aria i giocattoli con la forza del pensiero, senza esserne realmente consapevole. Da questo spunto, per esempio, è nata l'idea di scrivere Jonas, che parla di un bambino a dir poco particolare in un contesto di "paurosa violenza criminale", per usare le parole della giuria del concorso a cui ho presentato il racconto. E forse Jonas fa parte di un mondo più ampio, forse è destinato a diventare il villain di un gruppo di persone con capacità straordinarie che un tempo erano solo bambini alla recita dell'asilo in un piccolo borgo della provincia marchigiana.

(CONTINUA...)

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